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S'AFËRMI
MIRËSEVINI

La diatriba degli scafisti albanesi

(Libro e scritto e tradotto nel 2000. Ancora inedito)

Framento

Romano Prodi e Myrteza Çaushi

Dopo la terribile notizia, anche se le lacrime versate per i dispersi non avrebbero cessato e dalle menti di molte persone sarebbe sparito il progetto di oltrepassare il mare, il traffico dei gommoni non ebbe una sua conclusione.
Solo che questa volta, non costituì quasi una grande preoccupazione per la politica e i massmedia italiana. Aveva avuto inizio in Albania l\\\'aspro conflitto tra il presidente Sali Berisha ed i suoi oppositori e questo, accompagnato dalla rapina nei depositi militari di quasi settecentomila armi e duemilardi di proiettili, causò l’invio urgente della missione internazionale Alba.
L\\\'uomo che sembrò spiccare nelle cronache del tempo fu Myrteza Caushi. All\\\'inizio, sembrò essere un loro amico, per poi essere considerato uno dei meno desiderati. Il condannato in Albania col carcere a vita, fece il gesto più clamoroso davanti alle telecamere quando, durante la primavera del 1997 Valona fu visitata da Romano Prodi. Zani, accompagato dal suo gruppo armato e senza essere stato invitato, uscì davanti alla colonna della delegazione nel posto chiamato Il Ponte di Mifol spacciandosi per un addetto alla sicurezza del paese, riuscendo così a penetrare tra gli accompagnatori del premier italiano.
Fu immortalato dalle telecamere.
In questo modo, le foto di Romano Prodi accanto a Myrteza Caushi servirono anni dopo in Italia come materiale necessario ad accendere la guerra interna politica.


Il nuovo traffico degli scafi: le armi ed i kosovari

Mentre la costa pugliese venne presa d’assalto dai clandestini e sembrò che la primavera del 1997 non era altro che la ripetizione dell\\\'anno precedente, quando a Valona si ristrutturò perfino il \\\"porto dei gommoni\\\", fece la sua comparsa un altro fenomeno: gli scafi non erano carichi solo di persone.
Si stavano trasportando massivamente armi e droga. Entrambi le merci chiamate “secondarie” si trovavano in abbondanza. Erano stati rapinati più di mille depositi militari albanesi e la coltivazione della canabis sativa copriva i cento ettari.
I poveri clandestini si trasformavano principalmente solo nella protezione del nuovo traffico.
La metà dell\\\'anno fu accompagnata da altri due fenomeni: la grande ondata dei curdi e le numerose prostitute dell\\\'Europa dell\\\'est.


Immediatamente dopo lo svolgimento, sotto l’osservazione degli esperti dell’Osce e delle truppe Alba, delle elezioni politiche dell’autunno 1997 in Albania, incominciò la ricostruzione dello Stato.
Secondo il Ministero dell’Ordine Pubblico, confermato anche dalla polizia locale, si contavano nelle città di Valona 140 tra scafi e gommoni, abbastanza da realizzare un traffico mai visto prima in tutto il continente. La sua forza illegale era talmente grande da permettere di registrare nel registro della Capitaneria del porto solo otto di loro.
Il nuovo governo, trovato davanti ad un paese gravemente danneggiato dai tumulti non aveva né il tempo e né la forza di occuparsi degli scafi, specialmente dopo che la disoccupazione tra gli albanesi era massiva ed il gommone non era nient’altro che un mezzo con cui scaricare a volte le tensioni interne della povertà.
Intanto, la fine del 1998 e l’inizio del 1999 porto per i “boss” una nuova \\\"merce\\\". Era composta dalle unità premilitari e le truppe scelte della polizia serba, le quali avevano iniziato la pulizia etnica degli albanesi del Kosovo. Questi ultimi, con donne, bambini e anziani a carico, oltrepassavano il confine nord albanese dirigendosi ad una strada lunga e stancante verso il sud del paese: verso Valona. Altri, ma sempre di meno, si affrettavano a trovare dei gommoni in altri punti della costa nord.
Quando inziarono i bombardamenti della Nato, questo grande fiume umano di rifugiati giunse a diventare quasi un milione di anime.
“Kosovaro significa lavoro”, scriveva il 22 gennaio 1999 un importante giornale del paese, riferendosi all’intervista con un \\\"boss\\\" scafista. Quest\\\'apice del traffico veniva alleggerito anche dalla cura mostrata dalle autorità italiane nell\\\'attendere i rifugiati e nel creare le condizioni di una rimanenza temporanea.
Nello stesso tempo, diversi clandestini albanesi arrestati in Italia si spacciavano per kosovari.

Come funzionava il traffico

La legge sostanziale del contrabbando era chiara per tutti i partecipanti: una parte deve assicurare la materia prima per il trasporto, che nel caso concreto viene costituita da persone che desiderano lasciare il loro paese per entrare in occidente.
L\\\'altra parte ha per dovere l’oltrepassare il mare fino ad un certo punto, relativamente al sicuro dalle forze italiane dell’ordine. Quà, il frammento del traffico amministrato dagli albanesi si chiude per continuare con un terzo segmento del contrabbando internazionale, il dovere del quale è la distribuizione dei clandestini in altri paesi occidentali. Questa parte del traffico continua esclusivamente per i stranieri, non per gli albanesi. Non esiste per questi ultimi nessuna organizzazione illegale che li distribuisce in Italia o li sistema in un posto lavorativo. Le organizzazioni criminali con centro la Pennisola appenninica si occupano del traffico della droga, delle armi e della prostituzione.
Nella struttura interna del contrabbando dei clandestini, coloro che assicurano la “merce” per i gommoni della costa albanese non si trovano solo a Valona o in Albania. I più si trovano ormai all\\\'estero, principalmente in Turchia e perfino in Cina. Non mancano anche nel terre che, dalla Moldavia scendono verso il “paese delle aquile”. I fuggitivi sono legati all’Albania soltanto da una tappa del traffico, quella dell\\\'attraversamento del mare. Sicuramente assieme ai suoi accessori: il passagio illegale nel territorio del paese e rifugio di pochi giorni nelle città del traffico.
Per conseguenza, i contrabbandieri albanesi non possono, nella rete internazionale, essere mai i suoi dirigenti principali, come sono dall’altra parte dipendenti di chi mette in moto questo fiume multilingue di persone. Il corridoio segreto del movimento dei fuggitivi clandestini passa in modo organizzato e protetto per le terre di molti stati, molto più potenti e consolidati dell\\\'Albania.
Fanno parte del gruppo anche la Grecia e l\\\'Italia.
Avendo il fenomeno illegale acquistato caratteristiche internazionali, sono i capi nonalbanesi a guadagnare di più dal traffico.


Quando si parla dei “boss” degli scafi, così come sono indipendenti nel loro lavoro, rimangono in molti casi indipendenti anche nel guadagno. la loro “merce”, il clandestino, o parla albanese o usa parole straniere. Il cliente può parlare in tutte le lingue del mondo, ciò non ha nessuna evidente importanza per il “boss” o lo scafista. L’importanza va attribuita ad un’altra dura regola: il clandestino straniero non ha normalmente la somma necessaria per il viaggio né quando entra nel territorio del paese e né quando si rifugia in attesa della partenza, tantomeno quando viene trasportato sullo scafo o affidato ad un altro trafficante in Italia. Il pagamento viene fatto alla fine dell\\\'intera operazione. Cioè, quando si è in grado di confermare l’arrivo della “merce” in quel punto della costa italiana dove attende un uomo potente che avvisa il suo centro con le parole: tutto bene.
Significa che solo in quel momento, sarà possibile per il “boss” venire in possesso della somma in precedenza accordata con gli organizzatori internazionali.
Ciò non significa che non possano esistere parallelamente alla struttura illegale ben organizzata anche deboli microreti, in creazione o alla fine, che tengono sotto controllo solo piccoli spazi di questi corridoi. In simili casi, quando si tratta solo di amatori o professionisti in rovina, il clandestino è costretto a tenere i soldi con sé (cosa molto rischiosa perchè in questa rete caotica ed incerta potrebbero avvenire sparizioni fisiche di persone). Il fuggitivo, vittima di queste microreti è costretto ad ogni sua fase, mentre si cambiano i trafficanti, a pagare quelli con cui ha appena finito la collaborazione.
Una derivazione del fenomeno è anche il traffico del clandestino albanese amministrato dai “boss” in persona. Fa parte delle loro competenze l’intera operazione, incominciando dalla “raccolta” fino alla “consegna”. In molti casi, il proprietario degli scafi non si occupa direttamente del trovamento dei clienti, attendendo la “merce” vicino ai gommoni.
Il cosidetto “raccoglitore”, che acquista sempre più potere nel traffico, come nel caso in cui viene stipendiato dal “boss” o lavora per il proprio tornaconto, si recca in altre città dell’Albania dove incomincia la ricerca dei clienti. Nella maggior parte dei casi, i punti più favorevoli sono la stazione dei treni, gli alberghi, le piazze maggiormente frequentate o le strade nascoste dall’occhio della polizia. I “raccoglitori” hanno come regola la collaborazione fra di loro nelle città, nomi che devono essere senz’altro noti da poter costituire un indirizzo sicuro per chi desidera lasciare il paese. Quando l’operazione della registrazione dei candidati clandestini finisce, senza che ci siano ulteriori ritardi, avvisati a catena uno dopo l\\\'altro, i clienti si reccano al posto precedentemente stabilito. Là salgono nelle macchine normalmente usate, nella maggior parte dei casi dei furgoni e partono verso la città marittima. E avvenuto che i clandestini viaggiassero anche sugli autobus delle linee interne, controllati di rado dalla polizia.
Nella città porto, i nuovi arrivati vengono consegnati all\\\'uomo che offrirà a loro un rifugio. Quest\\\'ultimo, anche nel caso in cui sia indipendente dal “boss”, ha il dovere di offrire ai clandestini un letto e da mangiare fino al giorno in cui sarà possibile oltrepassare il mare. A questo scopo, nei quartieri vicini alla riva vengono adoperate delle piccole villette, possibilmente isolate. Sono stati costruiti addiritura degli alberghi speciali, principalmente di proprietà dei “boss”, in cui ë possibile sistemare i clienti come dei normali turisti.
Chi li rifugia, ha anche un altro delicato compito: deve tenere il morale alto ai nuovi illegali. Ci sono stati non pochi casi in cui siano stati colti dalla noia e dal nervosismo a causa delle lunghe attese o dei fallimenti dei viaggi. Da quando si è stabilita la collaborazione tra la polizia albanese e la Guardia italiana di Finanza, la nonrealizzazione del passaggio illegale del mare al primo tentativo è diventato un fenomeno più frequente. Molte volte, il mare nello stretto di Valona ed oltre è mosso.
Nella pesante situazione d’animo dei clandestini influiscono anche le furbizie di chi offre un rifugio in modo indipendente che, per guadagnare il più possibile, crea infiniti rinvii d\\\'imbarcazione.
Intanto, il nervosismo causato dall\\\'impazienza aumenta con una dura regola: il clandestino deve rimanere chiuso nei quattro muri senza poter uscire minimamente. Questo non solo per sfuggire alla polizia, ma anche dagli intrighi degli altri. Quando i clandestini erano generalmente liberi e in attesa del giorno di trasporto passeggiavano per la città, c\\\'erano stati dei casi in cui erano stati invitati da altri collaboratori di un nuovo “boss” con la promessa di arrivare prima in Italia.
Nella così detta tenuta del morale alto sono stati sperimentati anche metodi “morbidi”, perfino cortesi, ma ritenuti inefficaci dagli organizzatori del traffico. Dai rifugianti vengono usati metodi alquanto duri, basati sui criteri militari, ma in nessun modo offensivi o violenti.
Mentre i clandestini attendono il giorno di partenza, vengono fotografati. Riprodotte in due copie, una viene rialsciata al clandestino e l’altra viene tenuta dagli organizzatori del traffico. Nel caso in cui la polizia italiana catturi il fuggitivo, costretto a ritornare in patria, lo sfortunato ha 72 ore di tempo per ricontattare il contrabbandiere ed avere gratis il suo ritorno nelle coste italiane. Come prova indiscuttibile del suo diritto rimane la foto.
Come i “raccoglitori”, così anche i “rifugianti”, nel momento in cui sono indipendenti, chiedono direttamente ai clandestini la quota stabilita. Il valore non ë legato al costo del viaggio. Nel caso che tutta la rete sia organizzata dai “boss”, i pagamenti vengono effettuati unicamente da lui, sottraendo i salari dal totale guadagnato. Sicuramente, il “boss” prendeva la parte del leone.
Un’altra fase importante del meccanismo del traffico incomincia dalla riva del mare, dove si trova il gommone. La posizione degli scafi è cambiata nel corso del decennio della loro vita. Fino al 1996, in cui venne dato il primo grande colpo, rimanevano in mezzo alla spiaggia cittadina. In seguito, iniziarono a spostarle verso la periferia e alla fine del duemila, dopo una seconda operazione della polizia, chiesero ed ottenerono dei rifugi più nascosti e lontani, fino a molti chilometri in profondità nei centri disabitati.
Ciò fece sì che gli organizzatori trasportassero i loro clienti dal nascondiglio ai gommoni per un lungo tratto di strada. Usavano per lo scopo dei furgoni, normalmente chiusi e senza alcuna finestra.
Iniziarono a lavorare sui gommoni anche un altro gruppo di persone totalmente dipendenti dal “boss”.
Il primo è la guardia del mezzo. Il suo dovere è fare la guardia allo scafo per tutto il tempo in cui si trova a terra. Il servizio può essere condiviso da un altro dipendente. In diversi casi, le guardie possono essere tre.
Segue dopo il “fornitore”. Usa generalmente una macchina, a volte un furgone per reccarsi ai distribuitori stabiliti, dove rifornirsi di benzina. Per il trasporto, si avvale di molti bidoni di plastica. E\\\' la stessa persona che, incaricata di assicurare il carburante speciale, deve riempire le riserve del gommone. Questo viene considerato un lavoro pericoloso, perchë basta una scintilla o una sigaretta gettata imprudentemente al vento per dar fuoco al tutto.
In seguito, la figura centrale del traffico si concentra su chi lavora sugli scafi, chi rischia maggiormente e chi ha più coraggio: il pilota. E’ lui l’uomo che dirige il gommone e ha la maggiore responsabilità su di esso e sul destino delle persone. Assieme al pilota, si trova coinvolto nel viaggio illegale anche “l\\\'accompagnatore”. Non manca anche “l\\\'osservatore”.
In questo modo, l’equipe dirigente dello scafo viene costituita senz’altro da tre persone.



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